Chiamata alle armi forte e chiara per il popolo britannico, chi dirà l’ultima parola sulla Brexit?

Un paese diviso da dubbi e ripensamenti, forse anche da parte di quella fascia di cittadinanza che ha compreso che sulla Brexit si sta giocando una partita basata soprattutto sulla politica interna.

La questione diviene più importante, giorno dopo giorno, ed è dovere di chiunque abbia a cuore le sorti del proprio paese intervenire; anche perchè, persino chi ha votato a favore dell uscita del paese dalla UE non concorda con metodologie finora applicate a questa questione anche dal punto di vista politico.

The Independent ha organizzato a Londra per il 20 ottobre una marcia per il futuro, a conclusione di una campagna che ha chiesto al popolo britannico un voto pubblico sulla questione Brexit. Con la convinzione che in un paese libero e democratico la protesta sia un dato difficile da ignorare, e che potenzialmente essa cambia talvolta le cose. Più di 600.000 firme raccolte per la campagna, grazie all’adesione di numerose associazioni e sindacati tra cui quello degli operai del settore siderurgico  accanto a quello dei medici e degli studenti, questa sembra essere l’ ultima occasione per i cittadini di far sentire la propria voce, sia a favore che contro la Brexit. Nessuno può negare, infatti,  che il  Brexit deal sia diventato una faccenda con molte ripercussioni sulla vita dei cittadini britannici. Anche la Polizia si interroga sulle conseguenze, al punto che, attraverso un documento dell’ 8 settembre a firma dell’ NPoCC, sostiene l’esigenza dell’allerta in previsione di possibili disordini se il paese dovesse soffrire per la scarsità di beni di prima necessità (cibi, medicine, etc.) in conseguenza della Brexit.

A rischio persino il primo ministro, è lecito chiedersi quali ripercussioni ci saranno se dovesse  cadere il governo; in quel caso,  chi salirebbe al potere? E soprattutto, cosa cambierebbe  per le trattative con l’Unione Europea ancora in corso?

Boris Johnson ha definito il piano della May per uscire dalla Ue una mossa  suicida, addirittura la accusa di creare una situazione peggiore con l’ uscita che con la permanenza di UK in Europa, se non si trovano gli accordi necessari a scongiurare una crisi commerciale per il paese. Il 5 settembre un copioso numero di manifestanti ha fatto sentire la propria voce alla May sfilando sotto il Parlamento per affermare il loro dissenso nei confronti del Chequers plan. “Brexit means exit”, recitavano alcuni cartelli; e, a ben guardare nel dettaglio il piano del primo ministro, sembrano proprio aver ragione i Brexiteers: si afferma di voler sospendere i “vasti pagamenti annuali”, ma è prevista l’erogazione di alcuni adeguati contributi. Uscire dall’ Ue significa poter decidere tariffe e scambi del mercato interno, ma la Gran Bretagna  garantisce il rispetto della politica UE sulle merci provenienti dall’ estero mentre si creano parterships con nuove realtà nazionali (Giappone, Canada, etc.). Infine, si afferma la necessità di stoppare la libera circolazione -se non di merci- di persone, così da poter controllare il numero di individui che entrano nel paese.

Più che all’ opposizione radicale di tesi e antitesi, sembra di assistere ad un malriuscito tentativo di chiudere la porta, sapendo di aver lasciato aperta la finestra.