Non si arresta la mobilitazione del popolo britannico in merito alla Brexit, ma soprattutto, in relazione agli accordi di difficile realizzazione tra il Primo Ministro May e i preposti dell’ UE.

Mancano 10 giorni alla March for the Future indetta dall’ Independent il cui punto di ritrovo sarà il 20 ottobre in Park Lane alle ore 12.00.

La petizione lanciata dal quotidiano londinese ha raggiunto e superato quota 850.000 firme affinchè ai cittadini sia data la possibilità di esprimere la loro opinione su un futuro che li riguarda direttamente. Un nuovo referendum, dunque, invocato anche in virtù del fatto che una parte della popolazione lamenta una scarsa accuratezza nel passaggio di informazioni istituzionali antecedenti al voto del 2016.

Secondo alcuni dati, alla luce di quanto emerso negli ultimi mesi, una larga porzione di elettorato (intorno ai due milioni e seicentomila votanti) voterebbe oggi per il “Remain”, e il loro cambio di rotta trova la sua motivazione principale nell’ inadeguatezza del Primo Ministro e del suo governo nella gestione degli accordi per l’uscita del paese dall’ UE. E’ questo che -in prima battuta- agita gli animi degli inglesi: come cambierà la loro vita in termini di consumi e di spese se il paese raggiungesse l’obiettivo Brexit. Si fa strada, infatti, l’ idea che essa possa rendere peggiore tali condizioni a partire dal mercato del lavoro, compromettendo il futuro di molti giovani e includendo pesanti tagli sulla sanità pubblica.

E’ emblematica, a tal riguardo, la petizione firmata dai proprietari di animali da compagnia, che  si preparano a presentare la loro petizione al governo per un nuovo referendum sulla Brexit domenica 14 ottobre; marceranno anche loro per manifestare il timore che, con la Brexit, l’assistenza sanitaria per i loro “amici” sarà meno qualificata, visto che una buona parte dei veterinari abilitati all’esercizio della professione in UK provengono dall’ estero paventando anche l’ipotesi di un crescente aumento dei prezzi dei prodotti necessari alle loro cure (vaccini, antibiotici, antidolorifici, etc) nella misura del 40%, secondo una stima del National Office of Animal Health.